Partiamo proprio da questo, dal fatto che la storia fra Hébuterne e Modigliani non era una storia d’amore. Era una storia in cui una parte aveva più potere e un’altra non ne aveva e, giovane com’era, non aveva gli strumenti per uscirne.
Come società dovremmo superare il paradigma di amore nella coppia=amore sofferente e di tormento. Siamo, però, ancora lontani e lontane dal farlo nostro.
Questa non è una grande passione, un grande amore, è una storia di violenza, di abusi e di maltrattamenti verso una ragazza di 19 anni che ha conosciuto un uomo che di anni ne aveva 34 – già diversi figli illegittimi, una dipendenza da alcool e molti debiti – e ne è rimasta invischiata.
La storia (per quel che sappiamo)
Contestualizziamo brevemente la vicenda: siamo nei primi anni del Novecento, la loro storia si svolge per lo più a Parigi, si conobbero che già la Prima guerra mondiale era in corso, Baudelaire era morto da mezzo secolo e il suo immaginario bohèmien, era vivo allora come oggi, o di più.
Per quanto squattrinato e malandato lui era già conosciuto. Era sulla via per diventare il Modigliani che conosciamo ed era già Modì, un gioco di parole fra il diminutivo del suo cognome e il suono “maudì”, maledetto. Lei era una fanciulla di una buona famiglia cattolica, appassionata d’arte, critica e pittrice.
La prima uccisione, quella della sua creatività
La sua prima morte, quella che portò al triste finale, iniziò quando Jeanne spense la sua creatività, smise di dipingere e si dedicò totalmente a lui, alla sua di passione, all’arte di lui. Era la sua assistente, sua modella, suo supporto, faceva la fame con lui e tornava nella loro mansardina quando lui voleva poi “divertirsi” la notte. Lei nel giro di poco smise di dipingere e di avere qualunque altro interesse che non fosse Modì, che beveva, prendeva droghe e spendeva più di quello che riusciva a guadagnare.
La loro storia non era un idillio ovviamente, ma nell’immaginario collettivo c’è sempre il concetto di grande amore, amore eterno, e bla bla bla. Vedremo poi perché.
Jeanne, giovane com’era, nel giro di pochissimo si perse e non si ritrovò mai più.
Buio pesto
Partorì una figlia che lui non riconobbe mai. Non la sposò, nonostante le insistenze di lei, la tradì molte volte, la picchiò.
Inutile dire che l’arrivo della bambina non fece che peggiorare la situazione economica e quella interiore di Jeanne.
Nei pochissimi disegni che fece in quel periodo di buio ce n’è uno con lei stesa a letto, forse morta, del sangue sulle pareti e un uomo che rincasa. In un’altra c’era sempre lei con un coltello in mano. La famiglia di lei tentò a quanto pare di starle vicino, ma non è facile stare a fianco di una persona che vive una perdizione del genere e loro non lo fecero nel modo giusto, mettendo le barricate contro il pittore. Il finale di questa storia era annunciato.
Il suicidio
Nel gennaio del 1920, malato da tempo, Modigliani morì mentre lei era a termine della sua seconda gravidanza. Meno di due giorni dopo Jeanne Hébuterne si buttò dalla finestra della casa dei suoi genitori, la notte prima aveva dormito con un coltello (sì, come quello del dipinto) sotto il cuscino. Quasi nessuno vegliò il suo cadavere, il suo rito funebre venne celebrato all’alba, per vergogna, in modo decisamente differente rispetto alle celebrazioni in pompa magna del grande pittore che ovviamente aveva il posto prenotato al Père Lachaise.
I genitori non vollero che venisse seppellita assieme a lui, secondo me a ragione. Fu seppellita con lui solo anni dopo.
(*Le notizie sulla vita di Jeanne Hébuterne sono poche, le ho prese dal libro “Storia delle altre” di Elizabeth Abbott e da qualche sito – Le notizie sono poche e sempre simili).
La glorificazione del suicidio per un uomo
Il suicidio dopo la morte del compagno è sempre stato raccontato alle donne, come un’atto di estremo amore, di prova d’amore definitiva. Succede da sempre. Se raccontiamo questa situazione, ripeto, per quel poco che sappiamo, parliamo di una donna a cui era stata tolta l’anima, intesa come spirito creativo, capacità di bastarsi, ma era diventata dipendente da un uomo che verosimilmente aveva già impostato diverse relazioni in questo modo. Suppongo che si era ovviamente trovato vita più facile con una ragazza, mi viene da chiamarla bambina, che non aveva conosciuto nulla del mondo e che lo accudiva quando ormai la malattia si era fatta più insostenibile.
Non voglio dire che lui fosse un mostro, certamente fu vittima del suo tempo, degli eventi, dell’immaginario bohèmien, della guerra in corso, della malattia, ma fu anche carnefice. Quello che voglio dire è semplicemente che l’amore è un’altra cosa.
La fine della vita di Jeanne è fondamentale nell’immaginario collettivo perché è quello che fa urlare tutti al “grande amore” ed è fondamentale per qualcosa di ancora più triste, perché temo che l’idea non fosse del tutto sua. Stando a quando scritto dalla già citata Elisabeth Abbott e da June Rose in “Modigliani: the pure bohemian”, le ultime parole del nostro furono: “Ho baciato mia moglie e ci siamo accordati per un’eterna felicità”. Potrebbe essere un accordo fra i due amanti, oppure una leggenda: una storia che ha messo in giro qualche pittore amico di Modigliani, ma se l’ha fatto lo ha fatto proprio perché avrebbe reso più poetica la “storia d’amore” nell’immaginario.
La fierezza dell’annullamento di Jeanne Hébuterne come persona vengono ribadite anche nell’epitaffio al cimitero di Parigi. Sulla lapide per lui le parole “pittore” e “gloria” per Hébuterne “compagna di Amedeo Modigliani, devota fino all’estremo sacrificio”.
Devota.
Fino all’estremo sacrificio.
Jeanne, ti porto nel cuore.
Glorificazione dell’annullamento
Nonostante il dolore e il dramma di questa giovane, oggi ancora si parla e si scrive di questa storia come di un grande amore. Ho fatto un collage dei primi titoli o testi che ho trovato digitando il nome di Jeanne Hébuterne su Google.
Sono agghiaccianti. Vedete anche la grafica in rosa in basso (bellissima) che cerca di rendere pop la figura della pittrice? Così Hébuterne diventa ancora più contemporanea e permette alle donne di immedesimarsi con “il suo amore per il pittore, così forte da non permetterle di continuare a vivere“. Ma perché dobbiamo ancora raccontarci queste storie? Perché non cerchiamo l’immedesimazione nella realtà dei fatti: il dolore che ha provato lei, l’annullamento che ha provato lei, il dipendere da un uomo, il sostenerlo nel portare avanti le sue battaglie impedendoci di crescere interiormente. In questo ci riconosciamo. E’ questo il punto. Non l’amore nel non poter vivere senza di lui. E’ come se scrivendo nell’immaginario collettivo che “amare fino alla morte” sia la forma più alta di amore si annullase del tutto il potere che la storia del dolore delle donne può avere per superare quel sistema.
Nel collage ho poi messo altri titoli come i semplici “una storia d’amore” e “uniti dall’arte, dalla vita e dalla morte” che continuano a ribadire il concetto. C’è poi l’incomprensibile “amore pittura e morte come un colpo di fulmine”.
Il punto non è che parlino solo di lei, ma questa glorificazione della “devozione fino all’estremo sacrificio” è continua, costante e sottotraccia. Così, mentre ci concentriamo a parlare della sottotrama e significato recondito di una frase detta in tv (legittimo eh, ma non sufficiente) siamo immerse nel patriarcato e nella richiesta di annullamento della donna fin nel profondo e spesso non lo vediamo.
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