
Della notte in cui sei nato ricordo solamente le fiamme sul computer e mamma che piangeva.
In quel periodo era appena finito un gigantesco incendio in Siberia, dove io fino a quel momento pensavo ci fossero solo neve e ghiaccio che non potevano andare in fiamme. Così mi avevano insegnato a scuola e quindi non avevo dato importanza a quella storia.
In quel periodo era appena iniziato un incendio ancora più grande. E non finiva. Si vedeva dai satelliti rosso delle fiamme divampate in una foresta gigante. Una foresta che dava l’ossigeno al 20% di noi. Non ci capivo molto di numeri, ma la mamma mi spiegava che noi eravamo in vita per le piante, perché loro lavoravano tutto il giorno per trasformare l’anidride carbonica in ossigeno che respiriamo. E non ci capivo molto anche dopo che me l’aveva spiegato in effetti, ma stavo il pomeriggio sul letto cercando di trattenere il fiato per risparmiarlo.
E poi c’erano gli animali in quella foresta gigante. Avevo visto foto di uccellini tutti neri per le fiamme e anche animali grandi, perché nelle foreste giganti ci sono animali giganti, pensavo, come leopardi, distrutti, a terra, feriti. E allora piangevo. Ma solo di notte. E solo per gli animali. Degli alberi non mi interessava molto e allora non sapevo che senza gli alberi che ci producevano ossigeno e mantenevano bassi i livelli di anidride carbonica il nostro pianeta sarebbe diventato caldissimo, ma anche sempre più soggetto a tempeste, onde giganti, vento fortissimo. Non sapevo che era a rischio la mia e la tua vita.
Non lo sapevo. E se l’avessi saputo non ci avrei creduto perché era solo la mamma a parlarne.
In quel periodo in tv c’erano un sacco di uomini con la cravatta, che andavano da un altro uomo con la cravatta per capire cosa fare. Ma non parlavano di quello di cui parlava mamma, degli incendi, del caldo, degli animali che rischiavano di estinguersi, parlavano di altro, che sembrava più importante.
In quel periodo c’era una bambina che attraversava il mare anzi l’oceano, che è ancora più grande. Andava in America, come in quei film in cui i topolini vanno in cerca d’avventure da quelle parti, in barca, non in aereo, e andava perché lei doveva salvarci. Era più grande di me allora ma era davvero piccola e bionda, e non aveva paura di andare a parlare con altri uomini – sono quasi sempre solo uomini – e ricordo che dopo la tua nascita ogni tanto me la immaginavo a guardare le stelle dalla barca, con il solo rumore delle onde. Non doveva sentire le tue urla a tutte le ore, lei. Gridavi così tanto che una vena del collo diventava grande come il mio dito da bambina di otto anni che avevo allora, come tu adesso.
Ero nel letto. Guardavo il soffitto e mi immaginavo lei che guardava le stelle. Da una parte pensavo che ci avrebbe salvati tutti e dall’altra pensavo che non succede mai che uno salva tutti. Voglio dire: non è bastato Frodo per distruggere l’anello quella è stata una guerra di tutti i regni non solo di una persona. E questa cosa del clima e del rischio che tutto il genere umano potesse estiguersi mi sembrava una cosa ancora più grande.
“La notte in cui sono nato” mi dici piano. E lo sussurri. È la prima cosa che dici da quel letto bianco. Per fortuna in questa stanza d’ospedale siamo soli stanotte altrimenti non potrei parlarti. Anzi, ti parlerei lo stesso ma dovrei litigare con tante persone. Come ho fatto con mamma e papà per stare qui da sola stanotte. In realtà penso di non essere sola, dai rumori mi è sembrato che lui rimanesse sulle sedie qui fuori, ma non fa niente. Io e te siamo soli. A lui non piace parlare di queste cose.
Dicevo, la notte in cui sei nato alle persone normali sembrava una notte normale. Ma lo sai che noi a casa non siamo normali e anche allora era lo stesso, e quindi per noi nell’esatto momento in cui tu nascevi c’era una bambina su una barca, c’era un leone orfano che combatteva contro le fiamme – che poi l’ho scoperto che lui era in salvo, più o meno, però per me era lì – c’erano i congilietti che scappavano, c’era il ghiaccio che diventava rosso, c’era una città nera e buia alle tre del pomeriggio. E tu, in tutti i periodi della storia in cui potevi nascere avevi scelto di nascere quella notte lì. E a me sembrava assurdo.
Quando ho visto mamma piangere il giorno dopo ho odiato questa tua scelta. “Vorrei foste già vecchi” diceva fra le lacrime. E non capivo cosa significasse. Ma ora sì. In quei giorni in cui tu ti sei messo in testa di nascere, si diceva che la terra non sarebbe durata, che per quelli della nostra età non ci sarebbe stato un futuro. Lo so che ora siamo abituati a sentirlo dire, ma allora era diverso.
Allora in pochi sapevano che gli alberi avrebbero potuto salvarci dal surriscaldamento globale causato da alcune sostanze che l’uomo lasciava andare nell’atmosfera fra le quali l’anidride carbonica creata dall’inquinamento e anche dagli incendi. Quindi non tutti capivano che gli incendi oltre a toglierci i nostri fabbricanti di ossigeno, gli alberi, aumentavano ancora di più l’anidride carbonica e quindi diminuivano il tempo di vita della terra. Noi ci siamo cresciuti con queste cose, lo abbiamo sempre saputo e basta, ma chi era adulto in quegli anni se ne fregava e dava fuoco alle foglie secche o a boschi interi.
Però forse è un bene che sia andata così.
Non mi fraintendere. Lo so che tu forse non saresti in ospedale ora se non ci fossero stati tutti quei casini, ma tutto quello che si è concentrato nella notte in cui sei nato li ha obbligati a vedere. Ho sempre pensato così, che da quella notte fosse cambiato tutto. Quindi è per quello che so che fra poco ti staccheranno da quella macchina che ti aiuta a respirare e tornerai a casa.
È dalla notte in cui sei nato che hanno cominciato a litigare per l’ambiente. La mamma ti teneva in braccio ed era felice che cominciassero a lanciarsi accuse e urlare perché sapeva che se ci litigavano era finalmente diventato importante per loro. Capisci?
Ti guardo, così bianco, così magro, e penso che forse sia stato troppo tardi. Non ce la faccio devo alzarmi e comincio a camminare per la stanza. Spero tu non mi veda. Ho paura anch’io, sai? Hanno piantato un sacco di alberi in questi anni, hanno addirittura abbattuto alcune vecchie fabbriche abbandonate per piantare alberi. Hanno fatto incontri, firmato accordi, obbligato la gente a fare certe cose, cambiato l’aspetto dei supermercati togliendo tutte le cose inutili che facevano solo inquinamento, ma se basterà ancora non si sa. Perché gli alberi sono piccoli e ci sono alcune persone stupide che non pensano a tutte queste cose.
Però io ci credo che basterà. Deve bastare. Ma vederti qui… Voglio che tu torni a giocare, ad appoggiare la testa sulla mia spalla mentre ti leggo le storie, a raccontarmi per ore come è stato passare il pomeriggio con i tuoi amici, mangiandoti le parole per la voglia di dirmi tutto in un istante.
È una cosa che può succedere, dicono i medici.
Mentre il cielo diventa rosa, mentre le foglie degli alberi si muovono e comincio a sentire l’ospedale svegliarsi io ti aspetto qui.
@Elena Vezzoli
Un racconto immaginato per un albo illustrato dedicato a adulti e bambini; ho sentito la necessità di scrivere vedendo e ascoltando quanto sta accadendo in questi giorni.