Quali sono i meccanismi psichici innescati dai cellulari? Perché abbiamo continuamente bisogno di prendere in mano lo smartphone anche quando nessuno ci sta cercando? E soprattutto, questo strumento rischia di trasformarci in una popolazione che non ha più voglia di combattere contro le ingiustizie, per un progetto ambizioso, o anche solo per qualcosa che richieda una gratificazione con una risposta poco più in là di subito?
Il libro #Egophonia cerca di rispondere ad alcune di queste domande; la sua autrice è Monica Bormetti, psicologa che ha fondato il progetto Smartbreak e che fa divulgazione sull’uso consapevole degli strumenti digitali.
Sull’ultima domanda con cui ho cercato di spingervi a leggere il post nell’introduzione lei è ottimista, io un po’ di meno, perché se è vero che siamo costantemente in contatto con strumenti atti a darci una gratificazione immediata che provoca la ricerca di sempre nuovi stimoli, se è vero che non sappiamo più gestire la noia e che secondo una ricerca citata da Bormetti preferiamo piccole scosse che ci facciano male alla noia, allora c’è un grande problema di possibile oppressione. A tutto ciò aggiungiamoci l’incapacità di rimanere concentrati a lungo e dunque di leggere in modo approfondito le notizie e dal mio punto di vista la situazione non è idilliaca.
Ma un passo alla volta.
Con l’autrice di #Egophonia, edito Hoelpi, ho cercato di approfondire alcuni punti del libro. Ecco cosa è nato.
Nel tuo libro spieghi come oggi lo smartphone sia diventato lo strumento principale, se non l’unico, per rispondere alla noia. Come è successo e a cosa serve la noia?
La noia è una condizione che non valorizziamo più. Se pensiamo che gli antichi greci facevano dell’ozio un momento positivo e lo ricercavano, capiremo la differenza con il nostro oggi in cui scrolliamo i social quando siamo in bagno, sull’autobus, a cena con gli amici, in qualsiasi luogo e momento. Quindi anche tutti i piccoli istanti che erano d’attesa ora vengono continuamente riempiti. Non è un male assoluto ma avere spazi di ozio vuoto e non di continuo stimolo fa bene al cervello.
La noia, l’ozio, il fermarsi a riflettere comportano maggiore capacità di risolvere problemi e combattere contro difficoltà, errori e ti aiutano ad evadere di meno, essere più presente.
Esatto. Poi c’è un discorso più neurofisiologico. Il nostro cervello emana diversi tipi di onde, sono cinque le onde che emana a seconda dei momenti della giornata che viviamo. Per farla semplice nello stato di veglia, di attivazione, quando io faccio cose, sono nella fase beta invece sono nella fase alfa quando siamo sdraiati sul divano e guardiamo il soffitto, ad esempio, o ci sono persone che la raggiungono quando corrono e non pensano a niente, c’è quella sensazione di avere la mente vuota senza pensieri che affaticano. La fase alfa è la fase in cui il nostro cervello è attivato in modo uniforme e in maniera non troppo forte, come una lampadina, mentre nella fase beta, a seconda della singola attività che sto facendo avrò delle aree molto attivate e altre molto spente, quindi è come se ci fossero piccoli spot luminosi e altri molti bui.
Questa cosa comporta in termini di creatività, che la fase alfa, quando il nostro cervello è attivato in modo uniforme ed è rilassato, è anche quella in cui riusciamo a creare collegamenti fra aree che apparentemente non ci sembrerebbero avere a che fare nulla l’una con l’altra e a trovare soluzioni più creative, ad essere presenti, come dicevi tu, e ad immaginarci delle soluzioni nuove. Mentre nella fase beta questi collegamenti sono più difficili. Oggi quando abbiamo in mano un telefono e siamo sovrastimolati siamo più nella fase beta che nella fase alfa.
Secondo me era importante parlare di questi meccanismi perché a me capita di accorgermi di afferrare il cellulare senza senso, di sentirmi spossata dopo averlo utilizzato troppo e capita un po’ a tutti solo che non si capisce che è un problema collegato proprio all’essere sempre connessi, quello di non riuscire ad esserci, e avere il cervello stanchissimo anche se non si è fatto niente.
Hai citato una ricerca secondo la quale un gruppo di persone lasciato in una stanza per mezzora senza nessuno stimolo ha reagito con più difficoltà rispetto chi ha ricevuto uno stimolo spiacevole, delle micro-scosse. Quindi bene il dolore, sempre meglio dell’assenza di stimoli. Su più ampia scala questo potrebbe comportare la capacità di sopportare di più le ingiustizie a livello sociale?
Domanda tosta! Non mi sentirei di allargare così tanto la cosa.
Però la continua distrazione da cellulare di certo ci fa perdere di vista i problemi, ci distrae dalla voglia di risolverli, li rende più sopportabili.
Il punto è la continua distrazione… c’è da dire che siamo abituati a essere in qualche modo distratti dal cellulare fino a non riuscire più a rimanere fermi ma avere la necessità di continue interruzioni. Quindi quando quelle stimolazioni non le ho più non sono più capace di rimanerne senza anche, come nel caso dell’esperimento, se la stimolazione arrivi da scosse e dunque da qualcosa di negativo. Non lo so se questa necessità di essere sempre stimolati ci abitui a sopportare le ingiustizie in generale, non ho dati in merito, ma speriamo di no.
Secondo me la cosa preoccupante in questo senso è che se noi non ci abituiamo a stare sul qui ed ora a riflettere su chi siamo, cosa vogliamo, a riflettere sui nostri valori, come possiamo scegliere un’opzione piuttosto che un’altra per far star meglio noi e nostri cari, se non alleniamo questa capacità perché siamo perennemente connessi quando poi dovremo prendere delle scelte più scottanti potremmo fare più fatica perché banalmente non siamo allenati ad ascoltarci.
#Egophonia termina con qualche consiglio per essere più consapevoli verso un uso più equilibrato della tecnologia. Ce ne riassumi qualcuno?
Nel libro e soprattutto nei corsi di formazione che tengo accompagno le persone a trovare delle strategie nel confronto con gli strumenti digitali e nell’organizzazione della propria vita e quotidianità in modo più analogico. La prima cosa importante è la gestione del cellulare:
gestire le notifiche – Il consiglio è di disattivare tutte le notifiche e aspettare un paio di giorni per capire l’effetto, dopo di che riattivare solo quelle di cui si sente il bisogno.
Organizzare le schermate – Nella prima schermata appena sblocchiamo lo smartphone per guardare l’ora è meglio inserire più app funzionali, quelle che hanno uno scopo definito come la calcolatrice, il navigatore. Le app più distraenti (social, messaggistica,…) andrebbero inserite nelle altre schermate o addirittura in cartelle per averle meno accessibili nell’immediato
Darsi degli spazi offline – Anche solo la mezzora della colazione e l’ora del pranzo, ritagliarsi uno spazio senza smartphone. Anche se non è come mezza giornata senza telefono farlo un po’ tutti i giorni è un piccolo allenamento per ritagliarsi degli “spazi protetti”.