Ode all’onestà di Bradley Cooper che vuole tanto tanto tanto un Oscar

Sto guardando con grande interesse la corsa agli Oscar di Bradley Cooper: sta giocando tutte, ma proprio tutte, le sue carte per provare a vincere l’ambito premio. Lo fa in modo talmente palese, e goffo in molti casi, da essere tenero.

Onestamente Cooper non è mai entrato nella mia traiettoria di interesse, neppure al tempo di A star is born, quando era impossibile non parlarne. Però questo suo palese desiderio di raggiungere il suo obiettivo mi fa incuriosire molto, a discapito di chi lo detesta o lo prende in giro proprio per questo.

Corsa agli Oscar

Oggi lo sappiamo, il raggiungimento di un Oscar non è una mera quesitone di capacità o bravura, ma un atto politico. Dipende dal tipo di scelte professionali che fai all’interno dell’Industria, dai rapporti che hai saputo creare, da ciò che rappresenti nel contesto della mentalità del momento, e da mille altre cose che non possiamo neppure immaginare.

Qualcosa lo possiamo vedere, vale a dire il modo in cui un artista gestisce il periodo precedente alla stagione delle premiazioni, fra premièr, interviste e scelte simboliche; Cooper sta facendo faville in questi mesi. Ma ci arriviamo fra un secondo.

Prima è necessario far presente che il nostro sta puntando tutto su “Maestro” film da lui diretto, scritto e interpretato. Si tratta di un progetto che gli ha richiesto una marea di anni, almeno così sembra. Basti dire che a proposito di una scena in cui deve interpretare Leonard Bernstein dove dirige una vera orchestra, ha spiegato: “Ho passato sei anni a imparare come dirigere sei minuti e 21 secondi di musica”.

Personalmente mi piace Cooper? No, ma a chi frega di me.
Il punto è: questo suo palese desiderio di farsi amare dall’Academy sarà premiato? Questo vanesio ego enorme e al contempo fragile che ha bisogno del maggiore riconoscimento sarà apprezzato da un’organizzazione così egoriferita e narcisista* (fondo articolo) come quella dell’Academy? È interessante. A me interessa.

Teniamo presente che nel corso degli anni ha ricevuto nove candidature agli Oscar (a vario titolo, regista, attore, produttore etc) e quindi è evidente che a questo punto voglia ottenere il suo premio anche se nelle sue precedenti candidature non era stato così palese il desiderio di ottenere il premio. Leonardo di Caprio, per fare un esempio di un altro attore che ha impiegato anni, anzi decenni per ricevere questo premio, non si è mai prestato a questo gioco. È giusto dire però che non tutti possiamo lavorare con Scorsese o De Niro, a prescindere da tutto, e non tutti siamo uguali, non possiamo conoscere la storia dell’ego di Cooper.

Cosa sta facendo Bradley Cooper?

Arriviamo al punto, cosa sta combinando Cooper per riuscire ad accaparrarsi il premio? Oltre a scegliere dei film adatti a questo tipo di riconoscimento sta mettendo in atto tutta una serie di atti simbolici che sono mediaticamente interessanti.

Da una mia costruzione (totalmente spannometrica) la maratona agli Oscar è iniziata con le foto “rubate” di Cooper che passeggia per New York con Daniel Day Lewis.

Io non lo so, magari sono amici, però visto lo studio che c’è dietro questo “progetto Oscar” non possiamo escludere che sia un’immagine voluta; perché Daniel Day Lewis è considerato simbolicamente il miglior attore; attorno a lui c’è una mitologia notevole e ora che è in pensione il suo fascino è ulteriormente aumentato. Questa immagine potrebbe essere il desiderio di acquisire un po’ di quell’aura, mettendosi a fianco, per altro una persona dal carattere ben più discreto del suo.

Classiche per Hollywood ma comunque studiate, sono le partner alle premiazioni e première: la mamma ai Golden Globe, addirittura Lady Gaga (sua attrice nel film precedente, A star is born) e la figlia, un’adorabile bimba di 7 anni. Sono ovviamente tutte mosse per farsi “amare di riflesso” e offrire un’immagine accogliente.

La figlia è protagonista di un altro momento particolare: Cooper era a una conferenza stampa di presentazione del film, ha risposto a una telefonata e se ne è dovuto andare perché, dice, l’avevano chiamato dalla scuola della figlia per un’emergenza. Che papà amorevole! No? Boh? Forse…? Non lo sapremo mai, diciamo quantomeno che è stata una situazione che gli ha fatto fare una bella figura.

In questa lunga serie di avvenimenti (fortuiti o meno) e di scelte ha però preso anche una cantonata: ha attaccato la sua nemesi. Non gli è andata benissimo, perché lui è Cillian Murphy, la persona più schiva, lontano dal bisogno di fama e successo che sta calcando il tappeto rosso in questi mesi. Cooper i un’intervista a Variety ha detto come il suo impegno sia stato enorme e che certo “non è come ricevere una telefonata e prepararsi in un mese”. La frecciatina era contro Murphy che più volte aveva raccontato di come Nolan gli avesse telefonato per Oppenheimer e che avesse avuto solo alcuni mesi per prepararsi. Dopo che ai Golden Globes Murphy ha vinto contro Cooper, quest’ultimo è stato attaccato e “spernacchiato” dal solito cinismo di X.

Perché mi piace se non mi piace per niente?

Innanzittutto perché non sono lì. Io sto guardando tutto dall’esterno, come pubblico, e ci sono tantissimi personaggi di film che adoro guardare ma che non vorrei vivermi.

Trovo che Cooper abbia espresso qualcosa che pensano in molti, ma questa smania di vincere gli impedisce di celarlo. E’ una sorta di narcisista svelato. Onestamente pensiamo che le persone ad Hollywood siano tutte amiche, che quegli abbracci e baci e complimenti siano veri? No. Quella frase infelice è brutta, ma è una frase onesta. E aggiungo una cosa in più, Murphy viene difeso non perché è Murphy ma perché è Thomas Shelby, perché ha interpretato uno dei personaggi più duri e crudeli portati in una serie tv, che pure ne sono zeppe. Se lui non avesse interpretato quel personaggio la battuta di Cooper avrebbe funzionato perché sarebbe stata diretta contro un uomo schivo, estremamente in imbarazzo da questa corsa agli Oscar, a disagio, una persona con poco ego, molto lontano dal narcisismo di Hollywood e della nostra società intera, poco glamour. La gente avrebbe (a torto) preso in giro Cillian senza Tommy Shelby.

Cooper avrebbe potuto farsi amare dal pubblico anche se dall’altra parte ci fosse stato qualcuno simile a lui, quindi quasi qualunque altro, perché la lotta sarebbe stata pari ed epica. Non ha calcolato bene la situazione.

Questa ricerca dell’Oscar è più onesta della posa dell’indifferenza, del dire “non mi interessa, se vinco vinco, ciò che conta è il pubblico”, quando non è vero, perché la vittoria all’Oscar significa anche la possibilità di lavorare in progetti migliori, significano molti più soldi, significa un’ufficiale riconoscimento da parte del tuo stesso ambiente. Intendiamoci, non per tutti è una posa (per Murphy non lo è ad esempio) ma stiamo parlando di briciole.

Altra cosa che mi piace di Cooper è che sta dando un po’ di pathos alla sfida, un po’ di colore e di umanità, un po’ di pepe innocente. È così umano volere fortemente qualcosa e avere un po’ sulle scatole quello che ti potrebbe soffiare il posto, e lo è certamente di più dei suoi colleghi che spesso lo pensano, lo sentono, lo dimostrano ma non lo dicono tranne quando sanno di avere il pubblico dalla loro.

Quindi sono curiosa di sapere cosa architetterà il nostro Cooper da qui agli Oscar e se vincerà, perché la vittoria sarebbe una premiazione al narcisismo, al dare importanza all’Academy, perché diciamocelo, rendere così palese il suo desiderio di ricevere l’Oscar è anche un modo per riconoscere il potere al sistema di Hollywood e chi ha potere vuole che venga riconosciuto e apprezzato, mentre uno come Murphy che non chiede, non pretende, è lì un po’ per sforzo non dà potere al potere.

Vincerà la vecchia decadente Europa (quasi ormai estinta) o la scalciante America (quasi ormai estinta)?

(*l’utilizzo del termine narcisista in questo articolo è ovviamente la mia interpretazione di un atteggiamento egocentrico, vanitoso e non una diagnosi psicologica)