Il dolore e la violenza non sono glamour: storia di due film e di come sono stati accolti

Spencer e Blonde sono due film speculari in quello che raccontano; mostrano il dolore e la mancanza di ascolto verso due donne. Sono storie che forse non siamo pronti a sentire.

Il primo si concentra su di un lungo Natale nella vita di Diana e su tutta la vita di Marilyn. Qui sotto ne scrivo nello specifico ma trovo interessante che nel film su Marilyn si torni spesso alla parola “meat” carne, e a ripeterlo è lei stessa. Anche nel film su Diana al centro del racconto c’è il rifiuto della carne da parte della principessa, che non mangia, che vive quei giorni a Sandringham nel terrore della famiglia, ma anche dei pranzi, delle cene e del freddo, evidente metafora del gelo dei sentimenti.

Sembra però che il pubblico abbia fatto fatica a comprendere le due storie o forse ad accettarne il dolore. La domanda è, molti e molte di noi, hanno forse deciso di non ascoltare più la sofferenza reale? Siamo troppo concentrati sulla nostra? Oppure la sofferenza è diventata solo un contenuto da “normalizzare” sui social? Non ho risposte, ma mi sembra che chi ritiene questi film pessimi lo faccia perché siano storie colpevoli di rendere evidenti un dolore poco glamour poco adatto a una narrazione social.

Non vogliamo la violenza e il dolore reale vogliamo quelli glamour. Ma il dolore lacerante non è glamour, è il vomito di queste due donne, è il sangue di Marlyn e lo sperma di Jfk. Non è cool.

Diana persa e ritrovata – “Spencer” di Pablo Larraìn

Davanti alla macchina da presa c’è Kristen Stewart e alla scrittura il mitico Steven Knight (creatore di Peaky Blinders) e si vede; allucinazioni, fantasmi, aspirazioni al suicidio, tormenti persino spaventapasseri nei campi (chiaro riferimento a una scena delle serie). Sono i giorni di Natale del 1991, uno fra i periodi più critici di Diana che di lì a poco si separerà da Carlo e nel giro di qualche anno, rilascerà l’intervista di fuoco alla Bbc quella del “matrimonio un po’ troppo affollato”. Un momento molto teso per le pressioni che arrivavano dai media, dalla famiglia, e che le arrivavano da dentro.

Knight per il film,scrive nel modo che sa fare e rappresenta il tormento di Diana attraverso il cibo (cosa storicamente esatta), attraverso la sua ricerca di attenzioni verso i figli e verso il personale della casa. Mostra il suo tentativo di allontanarsi il più possibile dalla famiglia acquisita e di prendersi rivincite infantili e inutili facendo quel che può nel pochissimo spazio in cui può muoversi, l’unico spazio in cui può decidere: il suo corpo.

Questo è dolore. Come viene rappresentato il dolore da Larraìn? Attraverso il vomito, le allucinazioni, e la ricerca della propria infanzia in una casa che ormai è fatiscente e non esiste praticamente più (ancora, lo fa in senso letterale ma è da prendere anche come un messaggio chiaramente metaforico).

Il pubblico come prende il racconto di questo tormento? Non benissimo. Oltre alle critiche legittime, il mio sentore è quello che il problema sia proprio la gestione del dolore. Il commento più apprezzato e votato nello spazio recensione di imdb è: “Mi sono messo le mani a coprirmi le orecchie, spento il mio apparecchio per sentire meglio, ma non è servito a niente. Quando sono arrivato alla parte in cui si immagina tornare a casa sua ho lasciato il cinema (seguono due parole in ambito più artistiche ndr.)”.

A seguire ci sono diversi commenti per cui il problema è che la storia è una mancanza di rispetto a Diana, perché lei in pubblico è sempre stata compassata, controllata. So what? Perché una donna deve essere sempre controllata? Gli attacchi di bulimia erano proprio un contraltare a quel controllo. Tutto ciò non è però accettato. Come se si accettasse il racconto del malessere, dopo che è avvenuto, come se le scelte tragiche, o le dipendenze avvenissero in modo sensato, ordinato e in modo molto posh. No. Sarebbe bello, sarebbe bellissimo, ma non è così.

Questo è il momento più buio di una donna che guarda alla sua bambina ferita (la casa delle bambole e i giocattoli nella vecchia casa), cerca il suicidio, sopravvive e si rialza. Non c’è nessuna mancanza di rispetto. Il guaio è che vogliamo storie di rivalsa senza il “sangue” che c’è prima, nel dolore.

Un altro spunto di lettura

Marilyn vittima del sistema – “Blonde” di Andrew Dominik

Con Blonde i commenti sono l’apoteosi del concetto di dolore glamour e va detto che il film ne attira di più: nessuno sconto, anzi qui si calca molto sul dolore e tutto il film è una discesa nel baratro.

Ci sono persone che criticano la regia, la lunghezza, la non adesione totale alla vita di Marilyn. Legittimo e in alcuni casi anche oggettivamente vero (poi linko anche una recensione valida, anche se molto negativa verso il film) però qui vogliamo vedere il tipo di reazione al dolore.

Il film è tratto dal libro di Joyce Carol Oates che romanza, e in alcuni tratti ricrea, la vita di Marilyn e il regista decide di raccontarla tutta, ma proprio tutta, soffermandosi veramente a lungo anche sull’infanzia. L’idea è chiaramente quello di raccontare il suo dolore, il modo in cui è stratta sfruttata dagli uomini, dal sistema culturale, e dal sistema mediatico con scene sicuramente forti.  Fra moltissime scene difficili da sopportare (sono pesanti, è innegabile) c’è quella dello stupro da parte di Kennedy. Non ci sono mai state testimonianze o racconti di una cosa del genere, ma di fatto rappresenta lo sfruttamento della carne di Marilyn fatta dai Kennedy. Non si vede “nulla” ma ci sono numerosissime cose fastidiose oltre al fatto di per sé, ad esempio la porta lasciata aperta, il fatto di essere stata drogata, lui al telefono, lei che come apice di una vita in cui ha cercato solo di compiacere gli altri per essere amata, ancora cerca di compiacere qualcuno; il suo pensiero durante la violenza è di non vomitare.

Ana de Armas (divina) as Marilyn

Ora questa è LA SCENA più odiata e commentata ed era necessaria per capire i commenti. La definiscono volgare, cruda, rivoltante. E lo è! Ma perché deve essere diversa? E’ la realtà raccontata ad essere volgare, cruda e rivoltante per questo la scena è così. Per cui può non piacere, può venire voglia di spegnere il film, andarsene, ed è certo una scelta artistica ma prima di tutto è la realtà. Io ho fermato il film 4 o 5 volte nell’ultima mezz’ora di film perché era un dolore continuo, ma quello che mi stupisce è che si crede che questa rudezza non fosse la realtà, il problema diventa averlo detto, non che ci sia stato, e ci sia verso altre donne.

Lo spiega bene questo commento (sempre il più apprezzato dagli utenti di imdb): “Come sempre gli strambi di Hollywood vanno oltre il seminato e distruggono un’altra icona. Invece di raccontarci dell’amaro e del dolce si concentrano solo sulle cose negative. […] Tutto ciò di cui riesce a parlarti il film è il dolore ed è così che vi sentirete dopo aver visto il film”.

Raccontare il dolore che ha subito, il suo non imporsi in determinate situazioni, le violenze, la droga significa distruggere un’icona. Il racconto doveva riferirsi alla vita patinata, e non al dietro le quinte, questo sembra essere il punto. Sì, raccontaci per la milionesima volta la vita di Marilyn ma senza proprio proprio mostrarcela, altrimenti si sciupa. Non troppo da vicino. E allora se la colpa di questi film è (anche) questa, allora hanno lavorato bene.

Un dolore dolce, un dolore glamour.

Perché una donna sciupata non ci piace più.

Abbiamo un problema col dolore degli altri.

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(Ripeto ancora le critiche ai film sono sempre legittime, ma mi interessava riflettere sulla difficoltà di accettare il corpo e l’anima devastati dal dolore, di due icone simili. Victorlaszlo88 ha fatto, ad esempio, una critica complessa e molto legittima, per me super interessante nella parte in cui spiega del perché Marilyn sarebbe stata usata dal regista. Non credo di essere del tutto d’accordo ma va bene, è motivato ed è comune altro rispetto alla non-accettazione del dolore)