Non posso recensire un film di Ettore Scola con Sofia Loren e Marcello Mastroianni, ma posso consigliarlo e cercare di sottolinearne alcuni punti.
La storia è ambientata il 6 maggio del 1938 durante la visita di Hitler a Roma. La città è in festa, simpatizzanti, componenti del partito e balilla sono in parata, mentre nelle case popolari, in quella giornata particolare non rimane nessuno, tranne un’anziana portiera, la Loren madre di sei figli e moglie di un tizio inutile, e Mastroianni che in questo enorme caseggiato è solo in casa, sconsolato in attesa di essere portato al confino perchè omosessuale.
Entrambi soli, per una coincidenza si incontrano e non si lasciano per l’intera giornata e in qualche modo forse per sempre.
Patriarcato, machismo, dittature
Il film è del 1977, si è scritto che fosse avanti sul tema del femminismo, ma in realtà credo semplicemente che su quel tema ci siamo fermati, siamo andati indietro per poi cercare ora di andare avanti, mentre effettivamente era difficile parlare di omosessualità in modo scevro di stereotipi in quegli anni (e forse anche oggi).
“Siete scapolo? Pagate la tassa sul celibato? – Già. Come se la solitudine fosse una ricchezza
E’ lo stesso Marcello Mastroianni a spiegare a Film Dossier, un programma che introduceva il film al momento della sua prima messa in onda sulla Rai a spiegare il senso del suo lavoro in questo film: “Né Ettore Scola né io abbiamo mai minimamente pensato di deridere o prendere in giro questo personaggio, volevamo esaltarlo ma non per fare razzismo a rovescio ma perchè non ce ne importava niente che fosse omosessuale ma volevano esaltare la sua sensibilità, la sua intelligenza. A noi interessava che solo che per il fatto fosse diverso, questa parola così orribile, venisse emarginato e come lui, per altri motivi, l’altro personaggio, quello di Sophia Loren”
La critica alla ridicolaggine del machismo dittatoriale è chiara fin dai primi momenti di video d’epoca con quell’estetetica di Mussolini e le parole dell’Istituto Luce quali “si irrigidiscono mentre viene issata la bandiera” (sic!).
Ancella del patriarcato
“Io non sono né marito, né padre, né soldato
Sofferente, nella sua solitudine che si manifesta nel silenzio e in mezzo al caos della famiglia, e di un marito virilmente traditore, Antonietta, il personaggio della Loren è quello con il quale naturalmente si empatizza fin dall’inizio, ma, al contrario di Gabriele-Mastroianni, lei non cerca di combattere la sua situazione ma la abbraccia, nonostante la evidente sofferenza. Lo fa in modo apparente, è chiaro, perché non appena incontra un uomo delicato che non si comporta secondo i dettami dell’epoca se ne invaghisce, senza sapere ovviamente cosa sia quel sentimento.
E’ un sentimento che però non le evita di inveirgli contro quando scopre della sua omosessualità e non lo risparmia di un tentativo di “cambiarlo” che, anche se l’intenzione di base non era quella, è di fatto una violenza sessuale.
Acriticamente fascista, ma soprattutto “fan” del Duce (immagino perchè impossibilitata a fare altro se non accettare e vivere in quella condizione di essere inferiore rispetto all’uomo) Antonietta cerca di ignorare il suo dolore e la voglia di amore riversandolo verso l’unico uomo che è autorizzata ad amare e idealizzare, Mussolini: “A Villa Borghese una volta l’ho incontrato a tu per tu, passava a cavallo e mi lanciò uno sguardo. Diventai tutta una fiamma, mi sentì le gambe cedere, la testa girare, e caddi a terra svenuta” e qui Mastroianni è irriverente con pochissime parole e gesti “Per uno sguardo?” E lei, sempre inconsapevole: “Scoprii quel giorno che ero incinta”.
Quarto protagonista: il palazzo
Dopo il fascismo, lei e lui, il quarto protagonista è sicuramente l’enorme palazzo abitato dai protagonisti con quel piano sequenza inziale (e poi quello finale) e mille altre scene, inquadrature, i personaggi sulle scale, sul terrazzo, che si osservano alla finestra. E’ chiamato Palazzo (o palazzi) Federici, dal nome del costruttore, ed è composto da 650 appartamenti e decine di scalinate. Per l’epoca fu il più grande caseggiato popolare (progettato da Mario de Rienzi), erano case convenzionate volute dal regime e terminate un anno prima di quella “giornata particolare” durante la quale si svolge il film, nel 1937.