
Puntata dopo puntata Il racconto dell’ancella è diventato oggetto culto, non solo racconto distopico del regno di Gilead ma di battaglie sul corpo delle donne che un tempo sembravano risolte e sono tornate ora più che mai, le molestie e gli abusi, l’utero in affitto, la donna come oggetto di riproduzione e madrina della casa, temi che però rischiano di fagocitarsi la trama.
E lo stanno facendo.
(Recensione fino all’episodio 3×07)
Temi vs Trama
Se infatti fin dall’inizio l’obiettivo di critica alla nostra società era evidente, sembra che i creatori della serie dalla seconda stagione in poi ci abbiamo preso gusto decidendo di puntare quasi interamente al tema perdendo però di vista le regole del mondo che loro stessi avevano creato, anzi che Margaret Atwood scrisse nel 1984. Non fratintendiamoci: mi piace l’idea di una serie tv che risvegli le coscienze, che con uno sguardo verso un futuro non troppo impossibile obblighi a guardare all’oggi, ma se tutto diventa critica all’America di Trump finirà anche per perdersi l’effetto catartico della narrazione.
Voglio dire: come posso effettuare la necessaria sospensione di incredulità se in ogni puntata vengono sistematicamente rotte le regole di quel mondo? Come è possibile che un’ancella possa mettersi ad urlare contro una moglie all’aperto in una zona piena di guardie? E fare a botte con un altra ancella urlando e cercando di gettarla dall’alto? Sarebbe stato impossibile nella prima serie. Perché non lo è più ora? Forse la rivoluzione è iniziata e Gilead si sta indebolendo? E quindi perché non ci viene spiegato?
Perché l’unico sguardo di Elisabeth Moss è solo di rancore e rabbia in faccia a un’autorità che pochi mesi prima l’avrebbe frustata solo per aver sollevato gli occhi da terra? Come è possibile empatizzare con un personaggio che non ha più nessuna emozione se non la rabbia, giustificatissima, ma che sta provocando solo la morte di altre vittime e nulla altro, senza un fine.
Ho un canale Telegram, ti va di iscriverti? —> Click
La mancanza di coraggio nella serie 3 del Racconto dell’ancella
La storia ha cominciato a perdere se stessa già dall’inizio della seconda serie, quando non aveva più il romanzo di Atwood a supporto. Già dalle prime puntate sembrava diventata più una storia d’avvenutura che il potente strumento che potrebbe essere, per poi virare ora verso la ricerca di una rivoluzione che però non arriva, non è studiata e procede solo attraverso mosse che non potrebbero essere accettate nelle regole della storia di Atwood.
Forse, la serie avrebbe fatto un vero salto di qualità se al termine della seconda stagione June fosse partita per il Canada. Lì allora avrebbe potuto mostrarci qualcosa di nuovo spiegandoci come il mondo vede la dittatura americana, come il Canada accoglie i rifugiati. Guarda un po’, altri temi non proprio di secondaria imporatanza. Avrebbe comportato di certo un atto di coraggio il variare così ambientazione puntato su altri personaggi, coraggio sempre manifestato in Orange is the new black.
Comunque una serie da vedere
Handmaid’s tale rimane una serie tv da vedere e “da riflettere”. Innegabilmente rimarrà un pezzo di storia (forse non sono delle serie tv se andiamo avanti di questo passo), il lavoro sull’immagine e la regia sono impeccabili ed è proprio per questo che la speranza, ancora a metà della serie 3, è quella che improvvisamente gli sceneggiatori rinasaviscano perché questo racconto merita di più di una serie di episodi in cui chi guida una dittatura chiede consigli a una schiava che le ha rapito la figlia, e di un’ancella che urla, strepita, fissando con arragonza negli occhi persone che prima l’avrebbero gettata a terra per non aver risposto a un saluto? Dai, sù, vi prego!