Scrivere libri sul lavoro senza parlare con i lavoratori

E’ un casino quando scrivi di lavoro senza aver vissuto direttamente il mondo del lavoro di questi anni. O almeno dovrebbe esserlo, se non fosse che alcuni libri sono indirizzati solo a chi non ha mai messo piede in un’azienda e quindi non si accorge del problema.

Quando sono i lavoratori a scegliersi l’imprenditore

Un libro che ho letto di recente si intitola “L’intelligenza del lavoro. Quando sono i lavoratori a scegliersi l’imprenditore”, scritto da Pietro Ichino in occasione della (quasi) pensione da professore universitario. Ha pubblicato una ventina di libri dagli anni 70 a oggi e io non ne avevo mai letto nessuno tranne questo. Mi è bastato.

La tesi del libro

Il libro sostiene una tesi chiara che in teoria mi vede d’accordo: non sono solo gli imprenditori a scegliersi i lavoratori ma anche questi ultimi possono e devono scegliersi l’azienda per cui lavorare facenedo “cartello”.

Bellissimo, ma vediamo i presupposti del ragionamento di Ichino.

Giacimenti di lavoro

Secondo Ichino estistono molti giacimenti di lavoro che non vengono soddisfatti cioè offerte di lavoro che non vengono evase perché nessuno risponde oppure non è sufficientemente qualificato. Questa è la tesi su cui si basa l’intero libro.

Bene.

Nell’elenco delle “figure professionali difficili da reperire” al primo posto ci sono gli insegnanti di materie artistiche e letterarie. Ripeto: difficoltà di reperimento di insegnanti di materie artistiche e letterarie. Effettivamente il report Anpal e Unioncamere fa questo riferimento ma non sarebbe il caso di spiegarlo meglio? Perchè così sembra quantomeno strano.

Per di più non si può fare un elenco di offerte di lavoro inevase e suppore che la causa sia solo una mancanza di formazione (o formazione sbagliata), in alcuni casi lo è, ma è un grave deficit del libro sottovalutare il tipo di lavoro richiesto a una persona, i danni fisici e psicologici di alcuni mestieri, e l’assenza di stipendi adeguati.

Forse non sarà così, ma agli occhi di chi il mondo del lavoro lo conosce da lavoratrice sembra che ci sia tanta teoria ma sia mancacato il confronto con chi nelle fabbriche, negli uffici, nei negozi ci opera davvero.

Il “grano”, il grande assente

Purtroppo nel libro si parla della necessità di selezione dei datori di lavoro e di implementare o variare la propria formazione per rispondere alle richieste del mercato ma non ci si rende conto che le “hard to fill vacancies” citate sono ANCHE una preselezione dei lavoratori. Non si riescono a trovare agenti immobiliari e assicurativi (secondo Confartigianato Lombardia) perché vengono pagati a percentuale e non siamo più negli anni ’90 o nei primi 2000. Non si trovano baristi e camerieri o alcune categorie di operai soprattutto perché chi li seleziona vuole l’esperienza o la giovanissima età, la disponibilità oraria ben oltre le 8 ore (oltre che la un sacrificio in termini fisici e spesso di salute) per stipendi che non vengono mai nominati. Ha provato il signor Ichino a fare dei colloqui con un’agenzia interinale e a chiedere quale sarà o stipedio? Non viene mai detto, neppure su richiesta, perché non deve essere quello il punto del discorso, ma probabilmente la gloria e il sacrificio.

Fiducia nei nostri intellettuali

Il problema è che nessuno mette in dubbio le affermazioni su cui poi si basa il libro. La teoria è interessante, il titolo è figo e quindi è un bel libro e ci si fida di un nome importante. Il guaio è che dopo tanti anni lontano dalla fabbrica e dalla necessità di trovare lavoro lo scollamento dalla realtà industriale di cui tanto si parla nel libro diventa inevitabile, e l’unico modo è quello di ascoltare chi ci lavora nel tessuto industriale italiano e non solo gli imprenditori.

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