La Rai spiega la cultura del dolore e la retorica del malato guerriero. Chapeau

È appena terminata la messa in onda di una fiction, grazie alla quale la Rai propone un servizio pubblico di grande utilità: cerca di spiegare ai suoi telespettatori il culto del racconto della malattia. Un lavoro importante e per nulla scontato, che propone al pubblico delle fiction Rai, generalmente più tradizionale e meno tecnologico, un modo per decodificare la realtà.

Due parole sulla trama e poi cerchiamo di sbrogliare i temi portati al grande pubblico.  

La storia è quella di Gloria, diva di fiction e ottima attrice che a causa dell’età, decisioni sbagliate e un caratterino notevole, è ormai un’attrice sul viale del tramonto, una “has been” direbbero gli anglofoni. In un normale controllo di routine si scopre che la star ha un’anomalia che presto si scopre essere cosa da nulla. Fino qui non ci sarebbe nulla di diverso dalle solite fiction, anche un po’ banali, se non che nella storia giornali e colleghi di Gloria cominciano a mormorare di una presunta malattia ed è proprio a quel punto che la ex diva torna ad essere amata, ricercata, apprezzata, ad essere il centro dell’affetto di tutti. Per ottenere nuove proposte professionali e continuare ricevere amore decide di portare avanti la farsa della malata immaginaria.  

Qui la storia diventa interessante, perché vengono mostrati al pubblico tutta una serie di meccanismi che sono oramai sistematici nella nostra cultura: un certo racconto della malattia (a breve spieghiamo quale) e quello del malato automaticamente santo e buono e del malato guerriero.  

La malattia come valore – La narrazione falsa 

L’intera fiction è una denuncia di un sistema che ha eletto la malattia come valore. Siamo noi, e la società in cui vivimo, che dimentichiamo le persone che ci stanno attorno, impegnati come siamo, a cercare successo e apparenza o semplicemente a sopravvivere al lavoro e agli impegni. In questo mondo individualista spesso uno squarcio di sincerità è dato dalla malattia e dal dolore.  Ma da tempo anch’essi sono diventati oggetti di consumo, e sono oramai anni che queste tematiche sono state fagocitate dal sistema mediatico per trasformarle in una narrazione innocua orientata al profitto.

Trasformando la malattia in ascolti e in narrazione patinata si evitano tematiche molto più scomode e tragiche: prima fra tutte la morte, ma anche il dolore fisico, la solitudine, i problemi della sanità, le difficoltà della ricerca.  

Tabù e rivendicazioni sociali vengono così sotterrate sotto l’espresione valida per tutte le stagioni: “è un guerriero”. Proprio su questo concetto interviene il vero malato protagonista della storia, tale Michele, che riassume tutto ciò che c’è sbagliato nella retorica del guerriero in una semplice frase rivolta alla diva Gloria: “È vero, tu sei una guerriera, io no”. Ed è quel “io no” il problema di questa storia della malattia come guerra: se gli altri si mostrano sempre al meglio, o capaci di “combattere” io che vivo, e vengo trascinato dalla malattia (perché è quello che realmente la malattia fa) e conosco i miei momenti di cedimento, i miei pianti, io… io allora sono debole, e mi colpevolizzo anche per quello.

Nei media viene così responsabilizzato l’individuo, già in difficoltà, e non si parla mai di società o di famiglia. 

Spiegare senza essere didascalici 

La storia mostra questo, il dietro le quinte, mostra al pubblico come a volte, alcune persone cercano di fregarlo, di giocare sulle sue debolezze. In questo modo offre degli strumenti di difesa, che spero sempre più persone possano cogliere. Sebbene le vicende non siano didascaliche (grazie anche al fatto che protagonisti siano dei narcisisti notevolissimi) tutto il significato è riassunto dal solito Michele: “Mi sono detto, Gloria mente per una causa più nobile, per smascherare questa orrenda cultura del dolore ostentato che dilaga, sui media, sui social in tv, svelando al momento giusto che era tutto un bluff e sbatterci in faccia lo schifo che siamo”.  

Diciamocelo, pure questo Michele è un po’ un cliché del malato buono e saggio, però credo che sia un cliché che possiamo concedere a questo caso specifico, per addolcire il tema forte proposto a un pubblico generico.

Coordiante 

Gloria è su RaiPlay. Io non mi sento né di consigliarla, né di sconsigliarla, solo se la guardate credo sia giusto apprezzare questo tentativo.  

Potrebbe essere interessante anche:

Il dolore e la violenza non sono glamour: storia di due film e di come sono stati accolti